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DISPONIBILE 3-4 gg. lavorativi
Paul Hawken, Amory Lovins, L. Hunter Lovins
Capitalismo Naturale
La prossima rivoluzione industriale
Edizioni Ambiente
Pag. 316
Formato: 15 x 23 cm.
Anno: 2011
ISBN: 978-88-6627-017-1


€. 25.00 €. 23.75 (-5%)

  

Nuova Edizione

Nell’ultimo decennio, molte tra le aziende più attente hanno iniziato a scoprire enormi opportunità per risparmiare risorse e denaro, applicando tecnologie e pratiche commerciali innovative.
Settori produttivi tra quelli a più elevato impatto ambientale, come l’industria dell’auto e l’edilizia, stanno profondamente mutando i riferimenti del proprio operare. Auto leggere, sicure e prive di emissioni inquinanti, così come quartieri pensati in funzione di una qualità abitativa che sia anche qualità sociale e ambientale, sono solo alcuni esempi dell’applicazione di un nuovo paradigma economico: il Capitalismo naturale, somma di orientamenti e pratiche in grado di dare il via alla prossima “rivoluzione industriale”. Fatto ancor più significativo, quando il cambiamento è già “sul mercato” si dimostra vincente, permettendo di acquisire notevoli vantaggi competitivi. Chi cambia vince, quindi, a patto che ciò avvenga in nome di una razionalità ecologica che può diventare una carta vincente anche in puri termini di business.

Capitalismo naturale, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti nel 1999, è immediatamente diventato un bestseller, acclamato in tutto il mondo per aver dato inizio alla cosiddetta rivoluzione “nat cap”, la prossima rivoluzione industriale. Il capitalismo naturale è alquanto differente dal capitalismo tradizionale che ha sempre trascurato il valore monetario delle risorse naturali e dei servizi forniti dagli ecosistemi, senza i quali non sarebbe possibile alcuna attività economica oltre che la vita stessa. Il capitalismo naturale, al contrario, contabilizza le risorse e punta all’efficienza per riuscire a produrre di più con meno. Ridisegna le logiche industriali sulla base di un modello che esclude i muda – gli sprechi – e la produzione di rifiuti; sposta l’economia verso un flusso continuo di valore e servizi; investe nella protezione e nell’espansione del capitale naturale esistente. Il volume, colmo di esempi e aneddoti, lascia ogni lettore con la speranza che l’antica battaglia tra business e ambiente possa giungere a una pacifica e costruttiva conclusione.

Il capitalismo tradizionale ha sempre trascurato il valore monetario del più imponente stock di capitale che aveva a disposizione: le risorse naturali e i servizi forniti dagli ecosistemi che rendono possibile lo svolgimento di qualsiasi attività economica, oltre che la vita stessa. Il Capitalismo naturale, al contrario, li “contabilizza” e punta all’efficienza delle risorse per riuscire a produrre di più con meno. Il Capitalismo naturale ridisegna l’industria sulla base di un modello biologico che esclude la produzione di rifiuti, sposta l’economia dall’episodica acquisizione di beni verso un flusso continuo di valore e servizi, investendo nella protezione e nell’espansione del capitale naturale esistente.


Estratto da: Le regole per risparmiare energia e risorse: pensare, progettare, sperimentare, controllare
di Paul Hawken, Amory B. Lovins, L. Hunter Lovins

Da secoli gli ingegneri cercano di ridurre i consumi energetici e di risorse delle industrie. La rivoluzione industriale ha accelerato la transizione dall’efficienza dello 0,5% della macchina a vapore a quella odierna dei motori diesel, pari al 50%. Da decenni l’energia utilizzata per realizzare un certo prodotto è andata scemando in media dell’1 o 2% all’anno, a seconda dei prezzi dell’energia stessa. Ma in ogni fase del processo di produzione ci sono molte opportunità di fare di più e meglio con molto, molto meno. Anche nei paesi e nei settori più efficienti, mentre l’ingegno umano sviluppa nuove tecnologie e nuove applicazioni, si aprono molte più opportunità di ridurre la produzione di rifiuti e di migliorare i prodotti di quante non ne vengano effettivamente utilizzate. In parte ciò accade perché le tecnologie migliorano a un ritmo più veloce di quello con cui vengono sostituiti gli impianti di produzione obsoleti, ma spesso semplicemente perché le aziende e le persone non imparano abbastanza in fretta. Ci sarà certamente un punto in cui il miglioramento non sarà più così a portata di mano, ma non è certo un problema di domani.(…)
Tutti i settori industriali hanno un potenziale di radicale miglioramento dell’efficienza energetica: persino il più avanzato e a maggiore valor aggiunto, quello della fabbricazione di microchip, destinato ad essere nel breve periodo il principale datore di lavoro del mondo. In linea di massima gli impianti di fabbricazione sono progettati talmente male che una loro riformulazione complessiva (che si ripagherebbe in termini di profitti raddoppiati e migliore gestione) porterebbe a risparmiare gran parte dell’energia utilizzata. (…) Ci vorrebbero molti volumi per descrivere tutte le possibilità di risparmio energetico e di materiali nei vari campi, data la diversità e la complessità delle attività produttive. (…)

Progettazione

L’approccio utilizzato per l’iperauto può essere applicato a tutta l’industria: praticamente tutti i tipi di apparecchiature oggi in uso sono stati progettati a spanne, con criteri sbagliati. Con semplici domande si potrebbero facilmente identificare le aree destinate all’innovazione (si verificherebbe qualcosa di simile a una “improvvisa cessazione della stupidità”, il modo in cui lo scienziato Edwin Land ha definito l’invenzione). Ciò porterebbe prima di tutto a grandi risparmi nelle apparecchiature “base”, come valvole, condotti, ventilatori, motori, cavi, scambiatori di calore, isolamenti e praticamente in tutti gli elementi progettati tecnicamente per i sistemi che utilizzano energia, in tutte le applicazioni, in tutti i settori. Questo tipo di efficienza, spesso ricca di retroazioni, non si basa su nuove tecnologie ma su una migliore applicazione di quelle esistenti già dai tempi della Regina Vittoria. Talvolta i migliori cambiamenti progettuali sono i più semplici. Negli Stati Uniti è bastato cambiare la posizione di uno sfiatatoio per consentire a mezzo milione di cappe di aspirazione dei fumi di usare il 60-80% in meno di energia per gli apparecchi di aspirazione, rendendo anche gli impianti più sicuri. Il costoso compito di cambiare l’aria delle toilette ha ottenuto risparmi del 50-80% d’energia utilizzando un nuovo apparecchio meccanico di controllo dei flussi, caratterizzato da una singola parte mobile, mossa esclusivamente dalla gravità e dai flussi d’aria. (…)

Nuove tecnologie

Nuovi materiali, nuovi approcci progettuali, nuove tecniche di fabbricazione, elettronica e software possono fondersi in modelli produttivi inaspettati, cioè in tecnologie molto più potenti della somma delle loro parti. Dalle serpentine di raffreddamento superefficienti fino ai motori a riluttanza a risparmio energetico (i cui software ottimizzano continuamente l’efficienza in ogni condizione operativa), dai materiali intelligenti ai sensori più sofisticati, dall’approntamento rapido di prototipi alle produzioni di altissima precisione, dai semiconduttori a interruzione di energia alla manipolazione a scala atomica, dalla micro-fluidica alle micro-apparecchiature, sono molte le rivoluzioni che serpeggiano nei vari campi della scienza e della tecnica. L’innovazione non sembra essere prossima all’esaurimento; le tecnologie oggi disponibili possono far risparmiare anche il doppio di elettricità rispetto a soli cinque anni fa. Il trend di razionalizzazione è stato notevole per tutti gli ultimi 15-20 anni e si è essenzialmente avvalso delle nuove tecnologie in grado di ottenere più “lavoro” da ogni unità di energia e materiale. Recentemente però sembra avere il sopravvento il cambiamento nella mentalità progettuale, cioè la ricerca di come applicare le tecnologie esistenti.

Ogni volta che sembrano avvicinarsi i limiti concreti dell’innovazione, o addirittura entrano in gioco i confini tracciati dalle leggi della fisica, c’è qualcuno che immagina un modo di superare questi limiti ridefinendo il problema. La legge di Carnot ha decretato, per un’intera generazione di ingegneri, che gli impianti di generazione energetica non potevano che superare di poco il 40% di efficienza. Sorpresa: oggi si possono acquistare turbine a gas a ciclo combinato che hanno un’efficienza di circa il 60%, in quanto usano un ciclo termodinamico non soggetto alla legge di Carnot. Le celle a combustibile possono fare ancora meglio. E naturalmente quello che avanza, il “calore da buttare”, può essere riutilizzato in buona parte sotto forma di elettricità, aumentando fino al 90% il rendimento energetico del combustibile.

Controlli

Le tecnologie informatiche sono una buona fonte di risparmio. Una centrale elettrica gestita alla vecchia maniera (operai che corrono avanti indietro con le chiavi inglesi a sistemare valvole e supervisori che controllano intere pareti di apparecchiature idrauliche), a un certo punto assunse due giovani ingegneri appena laureati in tecnologia informatica. Essi chiesero immediatamente di acquistare un computer da duecento dollari e svilupparono un software di ottimizzazione delle operazioni dell’impianto. Già nel primo anno ci fu un risparmio di migliaia di dollari e i neo-laureati si trovarono a spiegare la vicenda al Consiglio di amministrazione, dando il via ad un profondo cambiamento nella cultura aziendale della Georgia Power Company.

Nella maggior parte delle fabbriche di tutto il mondo non c’è ancora stato questo primo passo di ottimizzazione, e laddove esistono dei controlli essi sono spesso usati impropriamente. Il sistema di controllo dovrebbe misurare che cosa sta succedendo in quel momento e non un’ora prima, perché gli errori non diagnosticati immediatamente causano spreco. L’impero Toyota è stato costruito grazie ai profitti ottenuti dai telai “automonitorati” di Sakichi Toyota, che si bloccavano ad ogni filo rotto evitando la fabbricazione di tessuto difettoso. Questo principio lapalissiano viene ancora ignorato da molte industrie che hanno feed-back dilazionati nel tempo.
(…)
Il prossimo passo della distribuzione dell’intelligenza è quello dei sistemi che si auto-organizzano, in ogni campo. I sistemi di controllo gerarchico hanno un capo centralizzato (una persona o un computer) che dice a ognuno che cosa fare e fa rispettare gli ordini attraverso le diverse stratificazioni dell’autorità. L’intelligenza distribuita, invece, usa molti decisori decentrati con pari poteri, che interpretano la realtà secondo regole comuni, interagiscono e imparano l’uno dall’altro, controllano i loro comportamenti collettivi attraverso l’interazione delle diverse decisioni locali, in modo molto simile a quello che accade in un ecosistema. Nel suo volume Out of Control, Kevin Kelly descrive come questo modello di tipo eco-sistemico (dove molte piccole parti si uniscono a formare un insieme altamente adattabile) stia prendendo piede, via via che si organizzano sistemi complessi che si adattano in coevoluzione con l’ambiente che li circonda. Così il “mondo di ciò che viene costruito” verrà sempre più ad assomigliare al “mondo di ciò che nasce”: i prodotti fabbricati saranno sempre più organizzati e controllati dalla biologia, proprio perché i sistemi biologici evolvendosi hanno già messo a punto soluzioni progettuali vincenti. (…)

Cultura aziendale

Un’organizzazione in grado di apprendere (e cioè con capacità di monitoraggio, pensiero critico e spinta al miglioramento), supererà sempre una azienda popolata di persone che schiacciano bottoni e controllano quadranti. Utilizzando gli efficaci strumenti della misurazione, simulazione, emulazione e rappresentazione grafica è possibile trasformare la progettazione e i processi produttivi da fenomeni lineari (richiesta - progetto - costruzione - ripetizione) a fenomeni ciclici (richiesta, misurazione, analisi, miglioramento, ripetizione). Un business che ignora le misurazioni resterà sempre indietro nell’ottimizzazione dei costi. (…) Per decenni, quando ormai i costi dell’hardware avevano raggiunto cifre risibili, abilissimi programmatori hanno continuato – spesso dietro precisi ordini dei superiori – a risparmiare sui costi delle memorie, realizzando software con la data a due cifre anziché a quattro con la diretta conseguenza di trascinare tutto il mondo informatizzato nel “baco del 2000”: i costi delle correzioni e del ripristino dei sistemi sono stati incalcolabili, e probabilmente hanno cancellato gran parte dei benefici di produttività finora ottenuti dall’informatica.

Fortunatamente, gran parte degli errori sono più comici che economicamente disastrosi. Per testare un treno ad alta velocità, la British Rail ha noleggiato un cannone della Federal Aviation Administration, che viene utilizzato di solito per sparare polli morti contro i vetri antivento degli aerei, per controllare che riescano a sostenere l’impatto con gli uccelli. Gli ingegneri della British Rail rimasero inorriditi quando i polli passarono attraverso i vetri della cabina di guida, trafissero lo schienale del guidatore e si schiantarono contro la parete di fondo. La Federal Aviation Administration raccomandò di rifare il test, specificando che era necessario però che i polli venissero prima scongelati.

Nuovi processi
Le innovazioni di processo aiutano a tagliare segmenti operativi, materiali e costi. Raggiungono migliori risultati se gli input si semplificano e sono più convenienti. Praticamente in tutte le branche industriali ci sono tentativi in tal senso: perfino nel settore più vecchio e a maggiore intensità di materiali, le acciaierie, la ricerca ha messo a punto sistemi di riduzioni dei costi energetici di quasi quattro quinti, con migliore qualità dell’output, minori tempi, minor spazio e spesso minor investimenti.
Una delle aree dove si fanno passi da gigante è quella dei processi ad alta temperatura, che vengono sostituiti da modelli di tipo biologico – imitati dalla natura – che utilizzano microrganismi ed enzimi. Ernie Robertson, del Biomass Institute di Winnipeg, ha dichiarato che ci sono tre modi di trasformare il materiale calcareo in materiale da costruzione: tagliarlo in blocchi (belli ma poco interessanti), triturarlo e cuocerlo a circa 1500°C oppure darlo da mangiare a una gallina, che dopo poche ore lo trasforma in guscio d’uovo, assai più resistente. Se fossimo bravi come le galline, aggiungeva, potremmo copiare questa elegante tecnologia (che si svolge a poco più della temperatura ambiente) e diffonderla velocemente su larga scala. Se fossimo furbi come i molluschi e le ostriche potremmo effettuare questo processo lentamente, a circa 4°C, oppure, alle basse temperature marine, ottenere qualcosa di simile al guscio dell’abalone, che è più resistente delle ceramiche speciali usate per i missili. (…)
In linea di massima ci sono buone chance che attraverso “assemblatori” computerizzati sia possibile agire a scala molecolare, sui singoli atomi, per produrre esattamente ciò che si vuole con sprechi quasi inesistenti e usando scarsissima energia. La tecnologia è realizzabile senza violare alcuna legge fisica: si tratta di fare ciò che normalmente fa la natura quando trasforma il suolo e la luce del sole in alberi, l’erba in mucche, o il latte materno in bebè. Stiamo imparando a capire questo approccio e le “nanotecnologie” ottengono già buoni risultati sperimentali.
Quando si potrà agire su scala commerciale, scompariranno le fabbriche che oggi conosciamo e con loro circa il 99% di flusso di materiali e energia. Qualunque altra tecnologia accennata in questo volume sarà spazzata via dalle nanotecnologie. Ma fino a quel momento, le industrie dovranno accontentarsi di sperimentare successive riduzioni di materia nei processi tradizionali: anche se non si dovesse mai arrivare a una rivoluzione da nanotecnologie, si potrà comunque arrivare a risparmi quasi altrettanto consistenti solo concentrandosi sull’efficienza dei materiali.

Tratto da: Capitalismo naturale (La prossima rivoluzione industriale) di Paul Hawken, Amory B. Lovins, L. Hunter Lovins Capitolo 4 © Copyright Edizioni Ambiente 2001

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  • informazioni sull'Autore: Paul Hawken, Amory Lovins, L. Hunter Lovins
    Amory Lovins e L. Hunter Lovins sono i fondatori del Rocky Mountain Institute, organismo indipendente di ricerca sui temi della politica delle risorse e “incubatrice” di iniziative imprenditoriali innovative e tecnologicamente avanzate. Tra i loro titoli pubblicati ricordiamo Fattore 4. Come ridurre l’impatto ambientale moltiplicando per quattro l’efficienza (con Ernst von Weizsäcker).

     

    Paul Hawken è ecologista, imprenditore e giornalista. Dall’età di vent’anni ha dedicato la sua vita alla sostenibilità e a cambiare il rapporto tra business e ambiente. È autore di numerose pubblicazioni in cui si analizzano le prospettive di un’economia che fondi il proprio modo di operare sulla consapevolezza ecologica.

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