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Farid Ad-Din 'Attar
La Lingua degli Uccelli
Il classico della letteratura Sufi
Mediterranee
Pag. 180
Formato: 15,5, x 21,5 cm.
Anno: 2002
ISBN: 978-88-272-1469-5


€. 12.95 €. 12.30 (-5%)

  

La lingua degli uccelli – il cui titolo originale è mantiq al-tayr – è una summa del migliore e più raffinato misticismo islamico e insieme un messaggio universale di apertura al trascendente. L’opera – che è un classico nel suo genere – si configura come una sorta di magistrale «favola esoterica», che ha per oggetto il tema del «viaggio», al tempo metaforico e reale, che l’anima intraprende perché si distacca dal mondo transeunte della materialità per tuffarsi nell’oceano senza rive del mistero divino. Protagonista un gruppo di volatili (l’upupa, il pappagallo, il falco, il pavone, ecc.) Che, riunitisi a convegno, spiccano il volo alla volta del loro bramato sovrano, il simorgh (o «fenice») della mitologia iranica, posto agli estremi limiti della terra conosciuta. Per raggiungerlo, dovranno, tra molti pericoli, attraversare «sette valli», che rappresentano altrettante «tappe» o «stazioni» di un vero e proprio itinerario iniziatico, che si ammanta di simboli universali, suscettibili di interpretazioni plurime. Dei centomila uccelli avventuratisi alla ricerca del loro signore, a non più di «trenta» (in persiano: si morgh) sarà però dato il privilegio di raggiungere la tanto agognata meta. Questi, difatti, finiranno per specchiarsi nel volto accecante del re, alla vista del quale, inceneriti, scopriranno – paradossalmente – di essere tornati al punto di partenza.

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  • Scheda dell'autore: Farid Ad-Din 'Attar

  • informazioni sull'Autore: Farid Ad-Din 'Attar
    Farīd al-Dīn ʿAttār (Nīshāpūr, 1142 – Nīshāpūr, 1220), è stato un mistico e poeta persiano.  Era figlio di un ricco speziale (la parola ʿattār significa per l'appunto in arabo e persiano "speziale", "preparatore di rimedi medici, erbe medicamentose o profumi", "profumiere", ma di fatto equivaleva quasi alla professione del medico) e ricevette un'eccellente educazione. Studiò l'arabo, la medicina e le scienze religiose. Da giovane aiutò il padre in bottega e alla sua morte la ereditò. Da speziale, i clienti che si rivolgevano a lui gli confidavano tutti i loro problemi ed egli ne era profondamente toccato. Infine decise di abbandonare la sua attività e viaggiò moltissimo. Durante la sua permanenza a Kufa, a Mecca, a Damasco, in Turkestan ed in India, ebbe l'occasione di incontrare numerosi maestri (shaykh) sufi. Al suo ritorno promosse il Sufismo.

    Alcuni studiosi ritengono che ʿAttār fu ucciso durante la distruzione della città da parte degli invasori Mongoli. Sulla sua morte si narra il seguente aneddoto: Un soldato mongolo lo catturò e, avendo scoperto chi egli fosse, lo voleva condurre dal suo ufficiale superiore quando si presentò un uomo, offrendo denaro per comprare il prigioniero. Il soldato stava per accettare ma ʿAttār disse al soldato che valeva molto di più di quanto pattuito. Continuarono il tragitto e poco dopo si presentò un altro uomo che offriva una somma maggiore per comprarlo, ma egli convinse il soldato a rifiutare poiché valeva molto di più anche della cifra proposta. Poco dopo un vecchio si presentò offrendo, in cambio di ʿAttār, un fascio di legna. Il poeta, in genuino spirito sufi, disse al soldato di accettare l'offerta poiché Non c'è nulla che valga più di questo. Il soldato s'infuriò e uccise ʿAttār all'istante.

    ʿAttār è uno dei più famosi poeti mistici iraniani. Le sue opere furono d'ispirazione per Jalāl al-Dīn Rūmī e per molti altri poeti mistici. ʿAttār, insieme a Sana'i di Ghazna, fu colui che influenzò maggiormente Rūmī nelle sue concezioni sul sufismo. Rūmī li cita entrambi numerose volte nelle sue opere e con la più alta stima. Rūmī lodò ʿAttār nel seguente modo:
    ʿAttār percorse errante le sette città dell'amore - Siamo ancora nella stessa Via. » 

    Fu uno degli autori più prolifici della letteratura persiana. Scrisse più di un centinaio di opere di varia lunghezza: si va da poche pagine a grossi tomi. Solo una trentina delle sue opere è giunta fino ai giorni nostri. Nello stile caratteristico dei poeti sufi, ʿAttār esalta l'amore terreno come metafora e preludio dell'amore divino: sebbene quello umano fosse una forma d'amore lontana dalla perfezione, esso ha comunque un riflesso spirituale, poiché l'"amato" diventa l'Essere supremo. Una delle sue parabole metaforiche preferite è l'amore tra il sultano Maḥmūd di Ghazna per il suo schiavo Malik Ayaz. Nella sua opera Ilāhī-Nāme (Il poema Celeste) troviamo otto storie riguardanti il loro amore e la loro devozione reciproca.

    La sua opera più conosciuta è tuttavia il Manṭiq al-ṭayr (Il Verbo degli uccelli). Oltre opere importanti sono l'Asrār-Nāme (Il libro dei segreti), il Musibat-name (Libro delle avversità) e la Tadhkirat al-Awliyāʾ, (Memoriale degli Intimi di Allāh che contiene le biografie di molti maestri sufi e di uomini santi); compose inoltre un ampio Canzoniere (divan) formato da ghazal e quartine. In generale, la maggior parte dei suoi libri è alla portata di tutti e relativamente facile da leggere.

    Il suo Mantiq al-tayr è certamente uno dei capolavori dell'intera letteratura persiana. Si tratta di un poema allegorico narrante la vicenda degli uccelli del mondo che, guidati dall'upupa, si sono messi alla ricerca del loro re, Simurgh, la cui reggia sorge oltre la montagna di Qaf ai confini del mondo. Tipico poema a cornice di circa 4.500 versi, in cui la storia-cornice del viaggio degli uccelli inquadra una fitta rete di dialoghi e aneddoti, il testo rivela in modo trasparente il suo contenuto mistico e le sue finalità didattico-iniziatiche: dietro l'upupa è facile scorgere il maestro sufi che guida attraverso Sette Valli (le mistiche dimore spirituali) i suoi inquieti discepoli (gli uccelli) verso l'illuminazione finale, ovvero la scoperta di Dio (Simurgh) nel proprio sé profondo.

    "Malik Ayaz in ginocchio davanti a Maḥmūd di Ghazna" Dai Sei Poemi, Iran meridionale, 1472Il poeta e mistico Jalāl al-Dīn Rūmī da giovane incontrò sicuramente ʿAttār quando la famiglia di Rūmī abbandonò la città di Balkh. Durante il loro viaggio, infatti, il padre di Rūmī si recò in visita ad ʿAttār. Fonti attestano che ʿAttār donò una copia di uno dei suoi libri di poesia mistica al giovane Jalāl al-Dīn. L'incontro è riportato da varie fonti, compreso il figlio di Rūmī, Ḥusām al-Dīn.

    Altra importante opera è la Tadhkirat al-Awliyāʾ, un manuale in cui descrive la personalità e gli stadi di realizzazione mistica di molti maestri sufi, narrando la loro vita, degli aneddoti e i loro detti.

    'Attār aderiva al madhhab hanafita, la più antica scuola giuridica del Sunnismo.

    In Italia molti artisti si sono ispirati ad ʿAttār e alle sue opere. I Radiodervish si sono ispirati al Mantiq al-tayr nel loro album In search of Simurgh del 2004. Sono state fatte anche trasposizioni teatrali come ad esempio quella di "Ali Di Polvere In Search Of Simurgh" di Teresa Ludovico e "II Verbo Degli Uccelli - Anno I: II Viaggio Analogo" di Domenico Castaldo. In altre letterature si trovano citazioni 'attariane in: W. Beckford (Watek), in Jorge Luis Borges (L'Aleph e nei versi di The unending rose); in varie opere di A. De Mello; in R. Musil (L'uomo senza qualità); in Salman Rushdie (Grimus) e nel messicano A. Ruy Sanchez (Los nombres del aire).
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