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Gratianus
Incontri con il Maestro
Introduzione all'alchimia operativa
Magnanelli
Pag. 143
Formato: 13,5 x 19,5 cm.
Anno: 2000
ISBN: 978-88-8156-116-6


€. 12.50 €. 11.87 (-5%)

  

Un aspirante alchimista dovrebbe dedicare al silenzio, allo studio e al lavoro la maggior parte del suo tempo. Questo libro svolge il ruolo di introdurre il lettore curioso alla scienza ermetica operativa, e a colui che già fosse in possesso dei rudimenti dell'Arte propone nuovi argomenti su cui riflettere offrendo una "mappa" originale per iniziare il suo personale viaggio.

Estratto dal libro:

Mi trovavo in uno spiazzo erboso, un po’ elevato e circondato da alberi. Poco lontano, in basso, scorreva un piccolo corso d’acqua. Sopra un’alta collina non molto distante scorgevo un castello circondato da alte mura di colore grigio-marrone. Lungo la cerchia si alzavano possenti torrioni sovrastati da tetti slanciati verso l’alto a forma di cono affusolato. Ma ancora più meravigliose erano le coperture dei tetti con lapislazzuli blu intenso. Dalla cinta delle mura una strada tortuosa, scavata nella collina, portava al bosco e poi alla sponda del fiume e lì terminava.

Ad un tratto la mia attenzione si spostò su di un enorme tronco che giaceva disteso tra gli alberi. Grande fu la sorpresa nel vedere il tronco muoversi lentamente. Ma subito compresi che quello era un enorme coccodrillo femmina: covava delle grosse uova bianche e le rotolava sulla sabbia con l’ampia bocca per aerarle. Arretrai di qualche passo, tanto mi apparvero minacciose quelle possenti mandibole, pur nel delicato compito di quel momento. Fu solo un attimo di smarrimento. Quel mostro primordiale infatti si trovava al di là del corso d’acqua, sulla riva opposta a quella su cui mi trovavo.

Mi tranquillizzai. Compresi che non correvo alcun pericolo da parte di quella massa di scaglie dalla forza poderosa. Il corso d’acqua, che scorreva lento e pacato, fungeva da protezione e di conseguenza ripresi il controllo di me stesso e ritornai ad osservare ciò che mi stava di fronte. Lo sguardo, in un primo momento, fu attirato da una stella marina che si spostava lentamente sul fondo del placido corso d’acqua, mentre un piccolo pesce le nuotava intorno, poi fu catturato da tre alberi: una palma, un melograno in fiore e un limone carico di frutti maturi. Notai alla base del tronco della palma, tra l’erba, un grande colubro disteso, che aveva assunto la forma sinuosa di una grande esse maiuscola. Pareva dormisse.

Ai piedi del secondo albero una grossa salamandra di colore verde smeraldo giaceva immobile sul terreno spoglio. Appoggiata al terzo albero una capra osservava con interesse la stella marina e il pesce che le girava attorno. Ripresi ad osservare il castello e nello stesso momento emerse in me il desiderio di raggiungerlo. Fu così che iniziai a risalire il corso d’acqua. Procedevo ormai da molto tempo quando fui attratto dallo scroscio di una cascatella d’acqua purissima. Scaturiva da una roccia nera avvinghiata dalle radici di una vecchia quercia cava. Compresi che il castello era ormai vicino.
Dopo un breve spazio di tempo mi risvegliai. Mi affrettai ad alzarmi.

Erano le undici di un mattino di giugno. Per non arrivare in ritardo all’incontro con colui che sarebbe diventato il mio maestro, accelerai ogni movimento. Questo atteggiamento invece di farmi recuperare il tempo perduto, sollecitò l’ansia. Quando scesi di casa e aprii la portiera dell’auto arroventata dal sole, era già l’una e mezza. Sempre più in ansia, girai la chiavetta della messa in moto ma il motore non si accese. Riprovai più volte, senza alcun risultato. Imprecai a voce alta. Respirai profondamente più volte per rientrare in me. Questi pochi secondi di calma mi fecero ricordare il meccanismo dell’antifurto che non avevo disinserito. Poco dopo avviavo l’auto. Come d’incanto mi trovai sulla strada provinciale, inconsapevole di come avrebbe cambiato la mia vita l’incontro di quel pomeriggio.

Bussai. Dopo qualche istante la porta si aprì. Di fronte a me, col viso sorridente, i modi gentili, gli abiti neri e la camicia bianca con il bottone del colletto slacciato, un uomo dall’età indefinibile.
«Entri, l’aspettavo» mi disse mentre la mia mano si univa alla sua. Ero intimidito dalla presenza di quell’uomo. Poche e rituali furono le mie parole di ringraziamento. Sorrise, mentre chiudeva la porta alle mie spalle: «Mi segua».

Mi condusse attraverso uno stretto corridoio in una piccola stanza, che appariva ancora più piccola tanti erano i libri stipati sui ripiani, fissati a varie altezze, lungo le pareti.
«Si accomodi» disse, indicandomi una poltroncina posta di fronte alla sua scrivania. «Questo è il luogo dove studio e medito».
Fui invaso da un senso di serenità indicibile. Il maestro si sedette alla scrivania ingombra di libri e io presi posto nella poltroncina.
«Dunque lei si occupa di Alchimia» iniziò, guardandomi diritto negli occhi.

Ancora una volta balbettai qualcosa ed egli, per togliermi d’impaccio, continuò: «Lo sa che esistono più di ventimila opere manoscritte e stampate, sparse in tutte le biblioteche europee che hanno per oggetto la nostra arte? Migliaia di libri che dormono da centinaia di anni su scaffali polverosi o, peggio, abbandonati, dimenticati, in soffitte e in cantine. Quei libri sono gioielli che conservano tra le loro pagine le risposte alle domande che l’uomo da sempre si pone».
Sorrise. Poi con malizia aggiunse: «Sempre per chi è in grado di comprenderli…».
Dopo qualche attimo di sospensione, come per sottolineare quanto aveva appena affermato, riprese a parlare.

«La comprensione di questi tesori di filosofia ermetica non è semplice. I libri di Alchimia si esprimono utilizzando il linguaggio simbolico, come avviene nella poesia. Le difficoltà nascono dall’interpretazione dei simboli. Io stesso, dopo tanti anni di studio e di pratica al forno, non afferro ancora il significato esteso rinchiuso nella parola Alchimia. Monteverdi affermava, riferendosi alla nobile arte, che non la comprendeva e tanto meno conosceva le sue finalità e il senso del lavoro al forno. Ciò non gli impedì di scrivere il Vespro della Vergine Maria che, nella successione musicale, rappresenta le operazioni alchemiche della Grande Opera. Forse chi osserva con più attenzione l’espressione pittorica, scultorea, poetica e musicale, riesce ad avvicinarsi alla comprensione simbolica usata nei testi di Alchimia. L’artista studia da vicino la propria materia e ne registra i cambiamenti dopo ogni manipolazione. La materia può essere la parola, il colore, il marmo, il legno, il suono. Per l’artista della nostra arte, la materia è il mondo che deve essere ricostruito per cancellare l’errore iniziale: il peccato originale. Molte tradizioni religiose hanno in comune un avvenimento altamente drammatico: l’Uomo è costretto a scendere dal cielo alla terra per ripristinare l’ordine che ha scardinato oppure è inviato in questo mondo-carcere a scontare una pena: la colpa è quasi sempre la conseguenza di un divieto che ha infranto. Il compito del malcapitato è quello di ristabilire l’equilibrio primitivo che ha alterato. Non è un’impresa semplice poiché le leggi della natura non sono facili da comprendere. Nelle antiche costituzioni massoniche, nel rituale del primo grado, quello di apprendista, l’apertura dei lavori avveniva con la costruzione del mondo da parte del maestro venerabile. Ed è proprio questo ciò che hanno sempre fatto gli alchimisti, veri scienziati sperimentali: la ricreazione di un microcosmo perfetto. Il metodo consigliato dai filosofi dell’arte è quello di osservare la natura. Il Cosmopolita aggiunge di osservare la materia che è il vero specchio della natura. Casualmente questo metodo ha prodotto la moderna chimica, che, se ha facilitato l’umanità nella sua lenta trasformazione, ha malauguratamente fatto dimenticare l’arte sacra, relegandola tra le false utopie della storia dell’uomo».

Mentre parlava lo osservavo con attenzione. Era a volte inquieto, altre sereno o distaccato, come per sottolineare la relazione intima tra l’argomento trattato e la sua conoscenza acquisita in lunghi anni di studio e nelle numerose notti di lavoro al forno. Quell’uomo d’altri tempi ora aveva rivolto lo sguardo verso di me in attesa di una mia domanda.

«Chi può fregiarsi del nome di alchimista?» chiesi; poi, per scusarmi della domanda che ritenevo banale, soggiunsi: «Non so da dove cominciare… La prego di avere molta pazienza con me».

«L’alchimista è colui che lavora con lo Spirito Universale che permea tutte le cose» rispose. «è colui che vive le operazioni alchemiche in stato di letizia e non duale. è colui che vive in armonia con se stesso ed è in buona salute. è colui che si mette in contatto con l’energia cosmica mediante la materia più semplice, quella minerale. è colui che non appartiene a nessuna religione ma che contemporaneamente le professa tutte. è colui che ha una “normale” moralità e che è staccato dalla cose di questo mondo. è colui che è in contatto con la materia che ha preparato e la considera il proprio maestro. è colui che riesce ad aprire il libro della conoscenza per riappropriarsi della “parola perduta”. è colui che con l’aiuto del Divino cerca di curarsi dal male della colpa iniziale e che cerca una medicina che lo guarisca e che lo salvi. è colui che sta scavando gallerie per uscire dal mondo per ricevere il dono da Dio che lo ha chiamato. è colui che è consapevole che ogni azione deve svolgersi nel timore di Dio. è colui che cerca la grazia per entrare nel paradiso terrestre, per poi passare nella Gerusalemme Celeste. è colui che si purifica con la pietra filosofale. è colui che riceve il battesimo del fuoco. è colui che è semplice e non si aspetta risposte alle domande esistenziali. è colui che considera ogni avvenimento della sua vita una manifestazione simbolica di ciò che è in alto. è colui che è così intelligente da sapere che la natura è estremamente semplice e che i mezzi per praticare al forno non sono di conseguenza complessi. è colui che non cerca l’oro, la conoscenza, l’immortalità, ma solo la pace. è colui che si lascia trovare dall’Alchimia per diventare un uomo pio, pronto all’incontro con le energie cosmiche e consapevole di ciò che gli accadrà».

Dalla finestra semiaperta che dava sul giardino entrava un delicato profumo di acacia che si spandeva in quella stanza piccola e poco illuminata. Il profumo, con il passare del tempo, si accentuò sempre più.
«Avverte questo delizioso profumo di primavera? Fa perdere i sensi…».
Feci un cenno di assenso col capo, gli sorrisi, e aggiunsi: «E fermare il tempo!».

Il viso del Maestro diventò serio, poi, dopo qualche attimo di raccoglimento, riprese a parlare: «La primavera è il momento in cui si forma la rugiada: dono divino, prezioso per l’uomo e la terra. I contadini affermano che in primavera la terra riprende a “lavorare”. Ed è per la rugiada che questo accade».
Si alzò per andare verso l’armadio a vetri che fungeva da libreria. Dischiuse le antine, estrasse un volume, lo aprì e me lo porse, per poi ritornare a sedersi dietro la piccola scrivania.

«È la tavola quarta del Mutus Liber, molto nota a chi si occupa della nostra Arte. Un uomo e una donna raccolgono la rugiada per poi, come mostra la tavola nona, esporla nuovamente agli influssi benefici del cielo, per un ulteriore arricchimento. è noto che il simile attira il proprio simile. Pensi che nel passato Orthelius propose un marchingegno per raccogliere la rugiada in modo rapido e poco faticoso. Lei, ha mai raccolto la rugiada?».

Ero sorpreso da quella domanda. Feci un cenno negativo con il capo e pensai a come si potesse raccogliere la rugiada.

«Avrà modo di verificare quanto è faticosa questa operazione quando la raccoglierà per la prima volta. Occorrono stivali e guanti di gomma per ripararsi dall’umidità e tanta resistenza fisica per camminare durante un’intera notte attraverso i campi, trascinandosi dietro un lungo lenzuolo per impregnarlo del prezioso umore. Si cammina sino allo sfinimento, ma la gioia che comporta questo lavoro è impagabile. I monaci taoisti la raccoglievano al mattino, prima che sorgesse il sole. Con un delicato pennello facevano cadere la rugiada, che si era formata sugli steli dell’erba e sulle corolle dei fiori, in un piccolo recipiente in porcellana che conteneva la quantità necessaria per un tè. Anche la nostra arte non può fare a meno di questo prezioso liquido che rende sacre le nostre operazioni al forno e le materie alle quali è unito. Non c’è nulla che possa sostituirlo. è la benedizione del cielo alla terra. è il riflesso di uno spazio-dimensione in cui il tempo si arresta».

Quella notte i sogni furono apparentemente strani.

Su di un mare in tempesta scivolava con fatica un piccolo vascello. Aveva al centro un angelo ritto sulla tolda che fungeva da albero maestro. Quell’essere di luce teneva ben stretto nella mano sinistra alzata una torcia accesa alla quale era legata la parte alta di una vela triangolare di colore verde smeraldo. Allo stesso tempo la creatura divina, con la destra in basso, tratteneva i filacci di base della vela splendente. Il piccolo vascello, pur avanzando a fatica tra quelle montagne d’acqua, procedeva comunque sicuro, protetto dal celeste nocchiero. Una nuvola a forma di viso umano, iniziò ad alitare con furia contro il vascello facendolo beccheggiare, e sulla superficie marina agitandola a dismisura per poi infierire con ostinazione sulla vela triangolare nel tentativo di strapparla dalle mani dell’angelo dalle ali rosso rubino e dagli occhi bendati. Alto nel cielo, un ariete, nascosto tra le nuvole, osservava con grande clemenza la fragile imbarcazione e il misterioso viaggiatore.

A questo sogno ne fece seguito un altro, anch’esso incomprensibile e spaventoso.

Una donna in trono guardava con paura, stupore e tristezza il frutto del suo parto posto tra le gambe aperte: un essere simile a una talpa, grande quanto un cane, ricoperto di setole nere.
Ripugnante, puzzolente, ancora sporco di sangue, l’essere stringeva tra le mani una spada e un martello. Aggressivo, rabbioso, mi osservava emettendo sordi grugniti e urla soffocate.
Cercai protezione implorando la donna. Fu allora che tra i suoi capelli d’oro notai due piccole corna taurine che sostenevano una corona. Poi vidi le braccia ornate di serpenti vivi in continuo movimento e il corpo trafitto da sette dardi allungati e sottili. La sventurata madre mi guardò a sua volta con occhi pieni di compassione, mentre un putto alato con in mano un libro chiuso si adagiò sul grembo, e una colomba di luce aleggiò sopra il capo.

A questo sogno ne seguì un terzo. Un sottile filo d’acqua scaturiva da un grande ammasso di rocce per raccogliersi in basso, in una piccola vasca di marmo bianco. Non una sola goccia veniva sprecata di quella preziosa acqua celestiale, trasparente come vetro e leggera come piuma. Due ninfe dall’aspetto di giovani donne, all’improvviso emersero da quelle acque cristalline e giocarono per lungo tempo. Quando uscirono dalla vasca mi accorsi che non erano bagnate, come se quel liquido avesse la caratteristica di scivolare sulla pelle senza lasciare segni di umidità. Il loro aspetto rievocava immagini lontane, forse dell’età dell’oro, quando ogni cosa era luminosa e la natura benigna si manifestava in tutta la sua dolcezza e bellezza. Poco lontano, un grande uccello dal colore rosso fuoco alimentava i suoi piccoli con il proprio sangue. Quel gesto che appariva cruento ai miei occhi, calato in questa realtà, non aveva nulla di drammatico o di eroico. Una musica soave si diffuse nello spazio. In quell’istante mi svegliai.

«Nel nostro ciclo, l’Alchimia rinasce nella civiltà dell’antico Egitto ed Heliopolis può considerarsi il centro da cui la nostra arte mosse i primi passi». Il Maestro iniziò a parlare ancor prima di introdurmi nello studio. «All’inizio fu arte sacra per i soli sacerdoti del tempio. In seguito la tradizione uscì da quel ristretto àmbito e si diffuse nel mondo».

Entrammo nello studio. Il Maestro prese posto al suo tavolo di lavoro, io nella poltroncina di fronte.
«Da Alessandria d’Egitto, la tradizione si sposta a Bisanzio e successivamente agli arabi che la portarono in Spagna».
Ero pervaso da un sottile piacere cerebrale per il fatto che il Maestro non avesse interrotto, neppure per un solo istante, il filo del suo discorso.

«Con la caduta di Bisanzio nel XV secolo una notevole quantità di materiale è portata in Italia da famiglie bizantine in fuga e da esponenti della Chiesa, in particolare dal cardinale Bessarione. Saranno poi le famiglie nobili che conserveranno la maggior parte del materiale pervenuto. Il duca di Urbino, i Medici in Toscana, gli Sforza in Lombardia e molti altri personaggi minori svolgeranno il compito di conservare e irraggiare in Europa la Tradizione. Queste furono le strade che permisero alla nostra Arte di prosperare in Europa. Tuttavia, non si possono escludere percorsi sotterranei, che ad esempio permisero già nel 1140 di far arrivare nella biblioteca personale di un monaco di Bologna più di 70 opere di tradizione alchemica».

Dopo una fastidiosa pioggia durata tutta la mattina, nel pomeriggio era ritornato il sole che con il passare delle ore aveva riscaldato il suolo. L’aria dello studiolo ben presto si riscaldò e il Maestro mi chiese di aprire la finestra che dava sul giardino. Così, per la prima volta, ebbi l’occasione di vedere il prato erboso e gli alberi accanto alla casa.

«Nei periodi canonici dell’anno solare, la notte raccolgo sempre un po’ di rugiada in questo fazzoletto di terra. Da questo liquido estraggo un sale utile per chi ha il cuore un po’ debole».

Guardò per qualche istante il giardino, poi riprese a parlare.

«Dall’Italia la nostra tradizione passa in Germania, dove verrà arricchita anche di risvolti mistici che permetteranno la nascita del movimento rosacruciano. La guerra dei trent’anni arresterà la diffusione della conoscenza alchemica in quella parte d’Europa, ma anche la promuoverà, inconsapevolmente, in Inghilterra, dove trovarono rifugio parecchi iniziati alla nostra Arte. Qui si diffonderà rapidamente nei circoli culturali e scientifici di allora. Newton, diverrà uno dei più importanti sperimentatori di questa arte, come dimostrano i suoi innumerevoli manoscritti conservati a Cambridge. In quel periodo, in Italia, la cultura alchemica era già stata cancellata dal Concilio di Trento. Dopo la rapida diffusione, inizia la stasi. Siamo nel XVII secolo. Testimoni di un periodo che si sta concludendo sono le biblioteche di tutta Europa, colme di volumi di tradizione ermetica. Con la rivoluzione francese e l’avvento nel primo Ottocento di correnti di studi scientifici e tecnici, la tradizione alchemica tende a sparire definitivamente, anche se percorsi sotterranei la porteranno sino a noi. Alla fine dell’Ottocento ormai questa conoscenza appartiene al passato. Un chimico francese, Berthelot, scrive la prima storia dell’Alchimia».

Il Maestro smise di parlare. Il volto si rattristò. Lo sguardo era fisso sulla luce purpurea di quel pomeriggio ormai vicino al tramonto.

«Siamo alla fine di questo ciclo» riprese, «la tradizione ermetica, comunque si salverà». Si arrestò qualche istante, poi mi fissò diritto negli occhi: «Ci attendono al varco delle pesanti responsabilità» concluse sorridendo.

Le notti seguenti l’attività onirica ebbe un notevole incremento. Mi trovavo in una radura al centro di un bosco folto e impenetrabile. Una catasta di legna di betulla argentata tagliata in pezzi tutti uguali giaceva al centro del prato. Il cielo di colore azzurro intenso era attraversato da nuvole bianche dai contorni tondeggianti che, spinte da una leggera brezza, assumevano forme sempre diverse. Annunciata dal fragore di un tuono, apparve nel cielo, da dietro le nuvole, una mano che stringeva una brocca d’oro. Lentamente il contenitore venne capovolto e un sottile filo d’acqua cadde verso il basso sulla sottostante catasta di legna che, inaspettatamente, prese fuoco. Dapprima le fiamme si alzarono altissime, poi, a poco a poco, si ridussero. Quando iniziarono a raffreddarsi, le ceneri sul terreno si trasformarono in polvere cristallina. I raggi del sole, riflessi dai piccoli cristalli in formazione, tinsero l’aria con i colori dell’arcobaleno.

Qualche sera dopo, ebbi un altro sogno.

Una fanciulla di bellezza divina indossava vesti bianche risplendenti. La punta del suo piede sinistro era posato sopra una grossa boccia d’oro. Come sollevata dal vento, la fanciulla andò a posarsi sul piatto di una grande bilancia dalle lunghe braccia. Inaspettatamente il piatto, invece di scendere, si alzò verso l’alto. Ero stupito. Eppure quel fenomeno, che non aveva riscontro nelle leggi fisiche di questo mondo, in quel contesto divenne ai miei occhi naturale. Quella visione mi procurò una profonda serenità.

Le notti seguenti ebbi un terzo sogno. Un grande volatile di colore nero, con le ali spalancate, il becco semiaperto, lo sguardo vigile, posato su di una catasta di legna in fiamme, si lasciava consumare lentamente dal fuoco. Una potente spirale di fumo nero e denso si alzava in cielo. Mi precipitai verso quel povero uccello che pensavo incatenato alla catasta in fiamme. Volevo sottrarlo a quella triste sorte. Percepita la mia intenzione, quel volatile, usando una forza sottile e sconosciuta, mi fece cadere a terra impedendomi di salvarlo. Nello stesso momento dal profondo del mio cuore si alzò una voce ferma e severa: «Fermati!». Dopo qualche istante la stessa voce, questa volta dolce e cantilenante, simile a una nenia per infanti, risuonò ancora dentro di me: «Morir per non morir… morir per non morir… morir per non morir…».

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  • informazioni sull'Autore: Gratianus
    Gratianus è lo pseudonimo con cui l’autore, impegnato ormai da molti anni nella ricerca e nello studio dell’alchimia operativa, ha velato il proprio nome. Le sue conoscenze gli derivano dall’attenta lettura dei testi degli antichi autori ermetici e dall’assiduo studio di Fulcanelli, Eugène Canseliet e Paolo Lucarelli, e soprattutto dalle pratiche di laboratorio. Ha pubblicato Incontri con il Maestro. Introduzione all’Alchimia Operativa (Torino, 2000), e Verso L’Arca D’Argento, i Misteri del Cammino di Santiago (Mimesis Edizioni, Milano – Udine, 2011).
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