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Albero e Foglia
"Sognare non è sempre vanità, non sempre invano vorremmo aver ragione di un dolore vero, che non si vuol desiderare pel suo peso; son senza grazia e resistenza resa; e l'esistere del Male è certa offesa." Si presentano qui alcune fiabe di J.R.R. Tolkien, precedute da un saggio sulla fiaba. Accostare la saggistica e la narrativa di Tolkien non vuol dire giustapporre due settori della sua attività, ma offrire due profili diversi dello stesso scrittore. Lo scrittore ha un rapporto con il linguaggio dal quale esula ogni violenza, un rapporto che non consente nessuna artificiosa separazione tra contenuti e stile, ispirazione e applicazione, conscio e inconscio. Perciò la continuità fra il saggista e il narratore è assoluta, in Tolkien, come quella fra il saggista e il poeta in Eliot e in Auden. Sia nella critica che nel racconto di Tolkien si nota la stessa grande e tipica qualità: la serietà del mistico e del metafisico è sempre mediata dall'umorismo, come è sempre filtrata dall'erudizione. Conoscitore massimo della letteratura anglosassone. Alla quale introdusse generazioni di studenti oxoniani, Tolkien ha scritto con Il Signore degli Anelli, un'epopea secondo le regole del genere cavalleresco, "diventando", commenta Elémire Zolla, "il servitore appassionato delle forze stesse che aveva sentito pulsare nei versi di uomini morti da più di un millennio". Tutto ciò si ripresenta nell'ultimo racconto di questo libro: 'Il ritorno di Beorhtnoth, figlio di Beorhthlem'...
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